GFL Milano - Incontro del 12/01/2013

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    GFL Milano - Incontro del 12/01/2013

    Nell’incontro del 12 gennaio 2013 la dott.ssa Lisa Rigobello (Psicologa e Responsabile della di Ai.Bi) ha trattato il tema della “Comunicazione – Accoglienza” con un approfondimento sulla parte relativa alla comunicazione, secondo il punto di vista della sua professione.
    Chi lavora con e per gli altri deve infatti imparare a lavorare con la comunicazione perché la comunicazione è la base di ogni relazione. Quando c’è un “altro” si crea una relazione d’aiuto quando uno sostiene l’altro, e nella relazione d’aiuto (ad es. medico-paziente, genitore-figlio, marito-moglie, fratello-sorella) ciٍ che è fondamentale è la rilevanza dell’incontro con l’altro (sostenendolo, aiutandolo, insegnandogli).
    Bisogna ora soffermarsi sul concetto di “altro” che nella storia è via via mutato da un concetto di “altro” come nemico fino ad arrivare all’”altro sono io”. Nel 430 a.C. per Platone l’altro era il nemico, “hostis”, colui che bisogna tenere lontano, confinato in me stesso, un modo a parte. Poi con Sartre, nel ‘900, l’altro diventa l’inferno, colui che mi puٍ contagiare, contaminare, che mi porta del negativo. La grande evoluzione c’è stata con Hegel nella “Fenomenologia dello Spirito”, dove si afferma che l’altro fa parte della struttura dello spirito dell’uomo: se lo spirito è parte di me vuol dire che l’altro è parte di me, è dentro di me, mi appartiene.
    Con questa evoluzione si ha anche una radicale trasformazione dell’educazione. Si passa da un “io” educo e l”altro”impara a una relazione dove entrambi siamo protagonisti. Io che educo dٍ e l’altro che impara è disposto a ricevere, l’allievo non è più in posizione passiva. Solo se questa relazione d’aiuto si struttura in questo modo è funzionale altrimenti porta al fallimento. Cosى è pure nella relazione tra genitore e figlio.
    Lo stesso Socrate nella “Maieutica”, l’arte ostetrica spirituale, precisa che educare è il tirar fuori il meglio dell’altro; l’educatore non dà, tira fuori quello che c’è già nell’altro, l’educatore ha la capacità di vederlo e riuscire a tirarlo fuori.
    Nella relazione con l’altro c’è la capacità di portare il lume, c’è la fiducia, e contemporaneamente la capacità di attendere, di aspettare. Il mio tempo non è mai il tempo dell’altro (vedi la relazione tra genitore e figlio). C’è un lavoro di messa in gioco personale, di fiducia, di reciproco cambiamento. Tutto quello che succede ha un senso evolutivo, talvolta lo capiscono gli altri o magari lo si capisce dopo anni ma ci deve essere sempre la fiducia. Chiunque infatti compie dei passi evolutivi col tempo: i piccoli crescono e i grandi diventano saggi, l’importante è cambiare lo sguardo, averne uno diverso sulle cose. La stessa mitologia con i suoi eroi che superano le difficoltà lo evidenza nel concetto di labirinto, dove il labirinto è la metafora della trasformazione: senza uno sguardo diverso ogni uscita sarà uguale all’altra.
    Un’altra caratteristica del lavoro con gli altri è l’empatia, cioè la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di sentire quello che sente l’altro. L’empatia è la comunicazione in maniera spontanea, è condivisione, simpatia, sintonia. ب un ascolto silenzioso. ب importante chiedersi quanto si è empatici, quanto si è capaci di ascoltare invece di parlare, quanto si è capaci di fare spazio agli altri dentro di noi. L’ascolto empatico è al di là di ogni pregiudizio.
    Siamo persone sempre in evoluzione, diamoci delle chance e diamole agli altri. La sfida non è cercare sempre la risposta ma trovarla rimettendosi in gioco ogni giorno. Soprattutto con i nostri figli dobbiamo misurarci anche sul “non detto” per entrare nel loro sentire, per capire cosa sta davvero vivendo mio figlio. Non solo in base alle parole ma cercando di capire la fatiche che mio figlio sta facendo nella sua crescita, come genitori dobbiamo accompagnarli. Tutti gli spunti che ci arrivano dall’esterno ci toccano interiormente e noi non sempre siamo in grado di gestirli. Talvolta la risposta giusta è l’ascolto, il tempo e l’attesa. I nostri figli faranno le loro fatiche e non possiamo risparmiargliele ma lasciare empaticamente che facciano la loro strada. I figli hanno le loro risorse, il loro equipaggiamento per affrontare la fatica.
    Ci sono tanti strumenti che possiamo utilizzare per la comunicazione e le principali modalità sono: quella aggressiva, la passiva e l’assertiva. Nella prima si evoca la rabbia, il rimprovero; nella seconda si colpevolizza ma è la terza che fa crescere. Con i propri figli la terza modalità è molto faticosa perché spesso loro in adolescenza sono in fase aggressiva. Perٍ è anche vero che se modifichiamo la modalità di risposta riusciamo ad insegnare anche il giusto modo di comunicare.
    La comunicazione ha degli assiomi: l’empatia, le tre modalità di risposta, la modalità simmetrica (uguale all’altro anche se talvolta non porta ad un risultato) e la modalità complementare (che puٍ valorizzare la differenza).
    Molto importante poi nella comunicazione è anche il “non detto”: secondo uno stu*** solo il 7% del significato della comunicazione viene veicolato dal verbale, il 38% dalla tonalità e ben il 55% dal linguaggio del corpo. Dovremmo diventare molto più sintonici, cioè il corpo dovrebbe comunicare quello che dicono le parole.
    L’incontro è terminato con l’invito da parte della dott.ssa Lisa Rigobello a tutti i partecipanti a riflettere sulle proprie modalità di comunicazione sia a livello individuale che a livello di gruppo. Infatti in un gruppo (ed anche la famiglia ne è un esempio) è importante saper comunicare ma anche verificare la percezione che gli altri hanno di noi.
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